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rore diviene veramente insostenibile, è nel matricidio. Clitennestra non è materialmente uccisa dinanzi agli spettatori; ma la preparazione dello scempio, nella terribile scena col figlio, è quasi più raccapricciante dello scempio medesimo. Dinanzi a questo orrore, diviene quasi nulla l’uccisione di Agamènnone, di cui non si ode che un, grido. Cosí tutto l’Agamènnone, con la sua opulenza e col fasto scenico, che già abbiamo caratterizzato, è come una linea ascendente verso il terribile episodio delle Coefore. Di qui comincia la discesa. Le prime scene de Le Eumènidi sono come le ultime stanche ondate della terribile tempesta che ha imperversato ne Le Coefore. Èstua di nuovo l’orrore, sebbene non più venato di sangue, con l’apparizione delle Eumènidi, e l’inseguimento d’Oreste. Ma presto interviene il processo; e l’azione ha termine col sereno prodigioso canto delle Furie, che, dopo tanti orrori s’inarca come un cielo sereno, a coronare il capolavoro di Eschilo. E mentre bilancia, nella economia musicale, la lunga e fastosa introduzione dell’Agamènnone, compie, con la placida magnificenza del contenuto etico, la purificazione delle passioni. È la catarsi, etica ed estetica, che ritroviamo nelle somme opere del genio umano: nella Divina Commedia, nella Nona Sinfonia, nel Guglielmo Tell. Ogni opera, al suo compimento, deve ascendere al cielo. L’arte moderna ha dimenticato questo principio; e non credo che questa dimenticanza abbia giovato alla sua nobiltà. 1

  1. Mi piace riferire alcune parole di Romain Rolland, non ispirate affatto all’arte greca, e perciò più significative. Dopo aver biasimato l’uso invalso di sopprimere le danze finali nell’Alcesti di Gluck, sog-