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e poi quasi idillici. Incomincia la risoluzione della crisi. Non piú grida d’orrore, bensí il compianto per la propria sorte. Il Coro propone il tèma dell’usignoletta canora, e Cassandra lo accoglie e lo sviluppa; e tutto il brano si risolve in una conclusione anche piú patetica, nella quale Cassandra rievoca i giorni felici della sua prima giovinezza, quando ella, pur anche improvvida del suo tragico avvenire, errava felice sulle rive dello Scamandro. Sembra quasi un preannuncio delle divine armonie della morte di Ermengarda.

Cosí si conchiude il kommós. E non è forse inopportuno osservare come, anche in questo brano, che in certo modo, per la forma, sta a sé, Eschilo segua il principio, cònsono alla sua arte, e in genere alla drammaturgia, e a tutta l’arte greca, di non finire mai in un momento d’intensità piena, di ἀκμή, bensì di sfumare i finali.1 In piena opposizione con l’arte moderna, appassionata, invece, delle soluzioni subitanee violente.

Col verso 1178 incomincia la prima stasi. Cassandra espone al coro, in conferma della propria scienza, gli antichi misfatti della casa d’Atreo, e narra la sua avventura con Apollo.



  1. Il principio è anche implicitamente affermato nelle parole dello scoliaste alle Eumenidi (56), il quale dice che Eschilo pone l’inseguimento d’Oreste non al principio, bensí a metà del dramma τομιευόπενος τὰ ἀκμαιότατα ἐν μέσῳ. Vedi anche l’ottimo libro del Westphal: Prolegomena zu Aeschylus Tragödien, pag. 69. S’intende però che questo come ogni altro principio va inteso con discrezione, e non bisogna presumere di trovarlo applicato in ogni e qualsiasi caso.