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refatti Ma una breve analisi, mettendo in luce alcuni particolari costruttivi, ed alcuni riferimenti non palesi a prima vista, gioverà forse a meglio intenderne la sublimità, veramente senza confini.

Tutta la scena si divide in due parti. La prima, dal verso 1072 al 1177, è in metri lirici, e propriamente in docmî intercalati da trimetri giambici del coro, interpunti anch’essi da docmî: è un kommós1. La seconda, dal verso 1178 sino al fine (1330), è in trimetri giambici.

Ma a questa divisione formale, non corrisponde la divisione della materia. Questa è tutta dominata da un altro principio, che investe e si sovrappone, tanto a questa divisione generica, quanto alle più minute divisioni del contenuto.

Eschilo, che, come tutti i grandi drammaturghi, ha profonda intuizione, non solo della psicologia, ma anche degli innesti della psicologia con la fisiologia, concepí il delirio profetico di Cassandra come una crisi epilettica, nella quale si alternano accessi e stasi. E da stasi e da accessi, come da due colori opposti, è segnata tutta la scena.

Negli accessi, Cassandra è perfettamente isolata dal mondo circostante, e, assorta nella intima visione, la descrive con rapidi accenni. E, un po’ perché tale visione è mista di figurazioni simboliche, un po’ per questo accennare e non narrare, le sue espressioni riescono poco in-

  1. Solo a questa prima parte conviene il nome di Κομμός: almeno se ci atteniamo alla definizione aristotelica: Κομμός... ϑρῆνος κoινὸς χοροῦ καὶ ἀπὸ σκηνῆς.