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AGAMENNONE | 11 |
Ma, innanzi tutto, è colto e reso con arte di psicologo grande il reciproco rapporto dei due amanti. Di fronte alla volontà di Clitennestra, Egisto rimane in ombra. In verità, quella è l’uomo, esso è la femmina, la femminetta, come con rovente ironia lo chiamano i vecchi Argivi. Il delitto non lo ha compiuto lui, bensí la donna; e agli Argivi che gli rimproverano questa sua codardia, non sa neppure che cosa rispondere. Nella connivenza con Clitennestra egli s’è plasmato su lei, ha prese le stimmate dei suoi difetti, si è macchiato delle sue macchie, ha assunti i suoi gesti: in una parola, è un suo imitatore. Come quella s’è voluta giustificare ricordando il sacrificio d’Ifigenia, cosí egli rievoca lo scempio di Atreo contro il suo genitore Tieste. Non meno cinico di lei si mostra nel proclamare la propria soddisfazione pel delitto. Non meno ipocrita nell’infinto dolore per la morte di Oreste:
- So che son giunti forestieri, e recano
- una novella punto grata. Oreste
- è morto. E deve questo nuovo cruccio
- patir la casa, oltre l’antica strage
- che ci piaga e ci morde. Or come apprendere
- se credibile e vera è la novella?
Egisto è il protetto, e la donna la protettrice. E quando egli è accinto ad una lotta mortale coi vecchi d’Argo, essa lo distoglie e lo salva con parole soavi:
- Altro male non si provochi, o diletto a me su tutti.
Insomma, Clitennestra è l’incubo, Egisto il succubo.