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none accennai, e basta il cenno, ai caratteri di Elettra e di Oreste. Ancora una breve osservazione a proposito di quest’ultimo. Che Oreste appaia dubbioso di fronte alla inflessibile volontà di Elettra, è chiaro. Anche sul momento di uccidere la madre, esita, e deve incitarlo Pilade. Ma è certo illuso chi sente un sapore amletico nelle parole «uccise o non uccise?»1, che egli pronuncia quando mostra al popolo il mantello ancora macchiato di sangue, in cui fu ucciso Agamènnone2. Questo mantello costituisce una prova irrefragabile, e la forma interrogativa ha valore retorico. «Ha o non ha commesso il delitto?» equivale a: «Chi può dubitare che abbia commesso il delitto? Ecco la prova».

Piuttosto credo convenga illustrare un po’ la lamentazione funebre sulla tomba di Agamènnone, che, nelle versioni solite, o in versi o in prosa, nelle quali, di solito, spariscono tanto il ritmo generico, quanto le divisioni strofiche, e quindi tutto il disegno, riesce un guazzabuglio inestricabile.

E, in verità, pur conservando quegli elementi, sembra, a prima vista, una massa amorfa e confusa. Ma quanto piú si studia, tanto piú si vede, anche all’infuori della simmetria formale, sostituirsi alla confusione l’ordine, all’oscurità la luce.

Dopo l’introduzione anapestica della corifea, che ha valore di preludio, tutto il contenuto è diviso in più parti ben distinte.

  1. V. 1008: ἔδρασεν ἢ οὐκ ἔδρασεν;
  2. Analogo valore, ha, ne I Sette a Tebe l’espressione delle fanciulle del coro (97) Ἀκούετ᾽ ἢ οὐκ ἀκούετ᾽ ἀσπίδων κτύπον; —