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304 ESCHILO

ermete
Se piú dicessi, invano io parlerei:
tu non ti plachi alle preghiere mie,
tu non t’intenerisci. E il freno mordi,
come puledro nuovo al giogo, e imprechi
e repugni alle briglie. E pure, inferma
è la saggezza onde t’esalti: audacia
per chi non ha saggezza, è men che nulla
di per sé stessa. Or vedi, se convincerti
rifiuti ai detti miei, quale procella,
qual maroso di mali ineluttabili
piomberà sopra te. Prima, quest’aspra
rupe, col fuoco e col celeste folgore
il padre squarcerà, vi asconderà
le membra tue, ché una petrosa branca
le stringa. Dopo lungo ordine d’anni,
di nuovo a luce tornerai. Ma il cane
di Giove alato, l’aquila cruenta,
voracemente il corpo a gran brandelli
da mane a sera ti dilanierà,
senza invito rependo, del tuo fegato
a banchettar l’epula negra. E termine
di tale strazio alcuno non attendere,
se alcun dei Numi non si mostri e assuma
le pene tue, che al cieco Ade, e del Tartaro
nei tenebrosi abissi elegga scendere.
Dunque risolvi. Ché non è già questa
vana millanteria, ma vero espresso.
Ché mentire non sa di Giove il labbro,
ma ciò ch’ei dice, ei compie. Or tu considera,