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prefazione | xxxv |
E dalla stessa presenza del coro derivano anche la debolezza e la inverisimiglianza di molte scene del teatro eschileo, e del teatro greco in genere. E come non sono imputabili al poeta, cosí non sono imputabili alla originaria concezione del dramma.
Sono uno dei fenomeni di sopravvivenza superflua, comuni nell’arte come nella vita. Infatti, sinché la tragedia mantenne il suo carattere primitivo, il coro, anziché incomodo, era necessario. Esso udiva e rispondeva ai racconti dell’unico personaggio. Ma quando i personaggi divennero più numerosi, Eschilo, e poi i suoi successori, naturalmente concepirono una creazione più piena, in cui l’azione, distaccatasi dalla placenta del lirismo, si svolgesse essenzialmente fra i soli personaggi. Ora, quanto più cresceva l’autonomia drammatica, tanto piú il coro assumeva carattere di superfluità. Due personaggi s’incontravano in un urto di passione, d’ira, di amore. Che cosa stavano a fare quei ventiquattro testimonî? Qualche volta la presenza si giustificava; piú spesso riusciva superflua: non di rado, grottesca. Fedra è piena di pudore e di esitazione, e si pèrita di confidare il proprio amore alla fida nutrice. Ma quando poi si decide, ventiquattro corifee, cioè quarantotto orecchie di donna, devono ascoltare il geloso segreto. Un’altra volta le circostanze richiederanno che il coro accorra a difendere qualche persona diletta, che sta per essere sopraffatta, che grida sotto il pugnale degli assassini. Ma il coro ha il suo posto obbligato giú in orchestra, non si può muovere, non può accorrere. Deve chiacchierare, E non sa bene che cosa dire. Cosí avviene nel momento culminante della Medea,