Pagina:Tragedie di Eschilo (Romagnoli) I.djvu/313

274 ESCHILO

dolce nutrir, sin che la vita dura,
ardue speranze. Ma, se te, Promèteo,
d’infinita sciagura
io veggo oppresso, un brivido
corre per le mie vene.
Ma tu, fiero, non trepidi
del Signor dei Celesti,
ed ai mortali troppo onore presti.

Strofe II
Ecco quali mercedi
sono or compenso, amico, alle tue grazie.
Dove or trovi negli uomini
alcun sostegno, alcun soccorso? Vedi
la fiacca inettitudine,
simile ai sogni vani,
che, in ceppi, degli umani
stringe le cieche torme?
Non mai voler d’efimeri
potrà di Giove vïolar le norme.

Antistrofe II
E questo, Prometèo,
appresi nel veder tua sorte misera.
Oh!, ben diversi suonano
questo mio canto d’ora, e l’imeneo
che dal mio labbro al talamo
tuo si levò d’attorno