prometeo
Ahimè, che avviene? A contemplar mie doglie
anche tu giungi? E come ardisti mai,
lasciando il flutto che da te si noma,
e le volte di roccia, onde Natura
i tuoi spechi inarcò, sopra la terra
madre del ferro, il pie’ muovere? Giungi
a veder le mie pene, a pianger meco?
Ecco ciò che veder tu puoi: l’amico
di Giove, quei che seco estrussi il regno,
sotto che strazi, sua mercè, mi fiacco.
oceano
Prometèo, ben lo veggo; e consigliarti
vo’ pel tuo meglio, benché tu sei scaltro.
Rientra in te: nuovi costumi adotta,
ché il Signore dei Numi anch’egli è nuovo.
Se parole cosí scabre e taglienti
tu scaglierai, t’udirà certo Giove,
se ben tanto alto siede, e allora, un gioco
ti parrà da fanciullo, il mal presente.
Su’ via, tapino, bandisci la furia
che t’empie il seno, e alle tue pene cerca
qualche riscatto. A te forse parranno
triti vecchiumi le parole mie;
ma della lingua tua troppo superba
è questa, Prometèo, la triste mancia.
Ma tu non sai farti umile, non sai
cedere ai mali; ed altri procacciartene,