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prefazione xxix

aggiunto il racconto d’un personaggio estraneo al coro. Dopo il racconto, si ripeté un altro brano corale, a questo succedé un nuovo racconto; e cosí via.

Ma in questa serie alterna occorreva introdurre qualche segno che le imprimesse cantiere di organismo, di composizione chiusa, con un principio e una fine ben distinti. E allora, il primo e l’ultimo canto assunsero speciali caratteristiche, di cui parleremo, e che li designarono rispettivamente come il principio e il fine della serie.

Non basta. Abbiamo visto che i canti corali erano strofici: cioè composti di strofe uguali. Avvenne allora naturalmente che questi brani misurati diedero in certo modo il modello anche ai brani drammatici intercalati fra essi. Anche questi riuscirono dunque misurati, sebbene con meno rigore. E cioè, nei dialoghi, unici elementi drammatici della tragedia primitiva, a ciascuno dei due interlocutori veniva assegnato un numero preciso di versi. Per i discorsi lunghi la uguaglianza molto probabilmente non fu assoluta. Ma assoluta diveniva quando il dialogo incalzava. Cosí abbiamo nelle tragedie lunghi dialoghi in cui a ciascuno dei personaggi sono affidati tre versi: in altri, due: assai piú numerose e dilette ai poeti le sticomitíe, i contrasti, in cui due interlocutori recitano alternativamente un verso ciascuno: un incrociarsi e battere di ferri.

E come nelle parti dialogate, cosí negli intrecci fra le parti liriche e le parti drammatiche, si stabilí e rimase poi dommatica una grande simmetria, per la quale la tragedia greca, dalle prime di Eschilo alle ultime di Euripide, assunse il tipo che abbiamo giá caratterizzato.