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Il 467, cinque anni dopo i Persiani, Eschilo mise in scena una trilogia Laio, Edipo, I Sette a Tebe, seguita da un dramma satiresco, La Sfinge.

Un brano corale dei Sette a Tebe (v. pagg. 197200) ci dice chiaramente quali fatti fossero svolti nelle due prime tragedie; ma quale fosse la loro elaborazione drammatica, non possiamo indurlo in verun modo, perché del Laio e dell’Edipo non ci sono rimasti che insignificanti frammenti.

Nei Sette a Tebe, non esiste vera azione. Esiste un personaggio centrale, Eteocle, al quale un araldo riferisce gli avvenimenti del campo nemico. Caduto Eteocle, lo stesso araldo viene a narrare la sua morte al Coro: dinanzi al Coro le due sorelle tragiche, Antigone ed Ismene intònano la loro lamentazione amebea.

Dunque, uno schema lineare, d’evidente arcaismo. Il quale impone tanto la propria essenza, che l’ultima scena, il contrasto tra Antigone e l’araldo che comanda di lasciare insepolto il corpo di Polinice, ha sapore di aggiunta.