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xviii prefazione

sono sempre semplicissimi e chiarissimi, e spesso in ritmi popolari, da canzonetta. S'intende che la musica poteva renderli, e, quasi certamente, li rendeva piú solenni.

Ma quanti non possono accedere al testo, e quanti leggono i versi greci senza tener conto del ritmo, e dunque li sentono davvero come caotici accozzi di sillabe, volentieri si figurano che quella asprezza o durezza debba caratterizzare anche i versi e le strofe. E, se non la ritrovano nella traduzione, dicono che il carattere eschilèo non c’è.

Ora, chi offrisse una traduzione ispirata a questo equivoco, non solo rischierebbe di disgustare e allontanare i lettori sin dai primi versi; ma tradirebbe nel modo piú essenziale la poesia d’Eschilo che, come si libra spesso nel cielo, così ha sempre l’armonia delle sfere.

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Or qui, usciti dalle forme, saremmo giunti a parlare del contenuto, o meglio della essenza del dramma di Eschilo. Ma qui, nella prefazione a questo volume che inaugura la collezione dei Poeti greci da me tradotti, debbo dichiarare che, cosí per Eschilo, come per gli altri poeti, quanto piú dalle questioni obiettive mi avvicinerò alle subiettive, tanto piú sarò sobrio. Io intendo compiere opera d'esegeta: intendo portare i poeti di Grecia dinanzi alla sensibilità di ciascun lettore, mettendo in ombra quanto è possibile la mia, che d’altronde è già intervenuta, e quanto, nell’opera della traduzione. Un’opera di poesia tradotta non è certo l’equivalente assoluto dell’opera originale. Ma per asserire, come fa taluno. che l’una non abbia proprio nulla che vedere