Non visto discostiamci.1
Eleazaro. Appiè dell’are
Idolatre ogni giorno orrido strazio
Han, fra’ Romani, del ver Dio gli amici:
E i genitori tuoi più d’una volta
Spiranti eran lasciati ivi; ma Iddio
Li serbò.
Ester. A me serbolli Iddio. Sui forti
D’Israel duce, e ad Ester tua benigno
È lo sposo; zelante, è ver, l’antica
Legge egli osserva, e la novella abborre;
Ma ciò in esso de’ padri è reverenza
E non ferocia. Ov’ei dal campo torni,
Cauta di te gli parlerò: disporlo
A pietà, le mie lagrime il potranno,
E più del ciel l’aiuto. Io spero assai
Fia annullato il decreto empio di morte:
Al mio fianco vivrai: teco al mio fianco
Vivrà la madre.... Oh, a lei condurmi....
Eleazaro. Troppo
Distante è il loco, e ben poss’io per aspre
Balze evitar degli uomini l’incontro:
Tu noi potresti. E il tuo partir da Engaddi
Saria fatal: scoprirà forse altrui
De’ tuoi parenti il vivere e il rifugio.
Chi ci difende allor? Molto tu speri
In Azaria; ma al campo egli è, dicesti,
E qui il più truce mio nemico impera.
Ester. Jefte, sì! me infelice!
Eleazaro. Onde le pugne?
Assalir questi scabri ermi dirupi
Osa il Romano? — Ed a difenderla io,
Io della nuova patria il fondatore,
Correr non posso? Oh del mio braccio antica
Gagliardia! Più che gli anni, i lunghi, feri
Martír me la toglieano.
Ester. Assai di gloria