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atto quinto. — sc. ii. 81

Io distrussi le mie.
Saracini.                                             Pèra!
Almanzor.                                                            Fermate.
Ossequio eterno gli giurammo.
Eufemio.                                                                      Io posso
Da’ giuramenti vostri empi disciorvi.1
S’ebbi alcun dritto su di voi, ne investo
Il pro’ Almanzor: legge vi sien miei detti:
Novo sultan, condottier vostro ei sia!
Un Saracino grida e tutti gli altri ripetono.
Almanzor è il sultan!
Almanzor.                                             No....
Eufemio.                                                            Vanamente
Schermir ti vuoi. L’ambizïon mia fera
Esca null’altra avea, fuorchè le fiamme
Dell’immenso amor mio; trascorso intero
Il mondo avrei, se ai limiti del mondo
Stavasi Lodovica: ahi, qui la perdo,
Qui cessa ogni mia speme, ogni mia forza,
Ogni sete di gloria e d’uman sangue:
Compiuto è il mio destin! Nè punto giova
Che tu (presago del mio intento) il braccio
Pietosamente mi rattenga....2 E s’anco
Mi strappi il ferro, che ti giova? ho fermo
Di morir.
Almanzor.                    Deh!

Eufemio.                                        L’ira de’ tuoi sfavilla
Orrendamente, mirali. E a che dunque
Mi trarresti alle navi? Io provocarli
Saprò così, che a lor faccia comando
Religïon di non udir tuoi cenni,
E trucidarmi a te dinanzi.
Almanzor.3                                                            Indarno
Vaneggia: niun l’ascolti.
Eufemio.                                                  Io non vaneggio:

  1. Con accento solenne.
  2. Almanzor gli toglie la spada.
  3. Ai suoi guerrieri.