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atto quinto. — sc. ii. 77

Eufemio.                                                  Là Baiazette
Spira. Carco il fellon d’oro, alle navi
Riedea: lo afferro per le infami chiome:
«A te data in custodia era mia donna
(Sclamo); dov’è?» Ch’ei di predar bramoso,
L’abbandonò, mi narra: in cor gl’immersi
Tutto il mio brando. Oh inutile vendetta!
Vane le mie, le vostre indagin fura:
Lodovica non veggio. In mar lo stesso
Baiazet forse la gettava.... Ah, quanta
Sia la ferocia vostra, afriche belve,
Contro i cristiani, io nella strage vidi!...
La donna mia voi m’uccideste!
Almanzor.                                                                      Insano,
Di nostra fè dubitar puoi?
Eufemio.                                                            Qual fede,
Se all’imperante voce mia ribelli
Non frenaste l’eccidio? Appien consunto
Il sacrificio io non volea: le porte
Come atterrate aveva io di Messina,
E il piede vincitor posto nel sangue
De’ cittadini miei, ratto sentii
Placarsi l’ira mia; mi franse il core
Improvvisa pietà, supplici udendo
Quelle prostrate turbe.... ahi qual rimasi,
Molti raffigurando o a me compagni
D’infanzia... o mastri di virtù.... o canute
D’onorande fanciulle e d’eroi madri....
Che me appellavan coi pietosi nomi
Di fratello e figliuol, ciascun pregando
Non pe’ suoi dì, ma per gli altrui! «Fermate
(A voi gridava io vanamente). Eufemio
Il duce vostro in queste mura è nato,
Sacre elle sono.» Oh rabbia! ignoto affetto
Evvi l’amor che per la patria in core
Eterno serba ogni europeo. Dagli avi
Questo affetto eredammo: in noi lo nutre
La domestica istoria, e ad ogni passo