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atto primo. — sc. iii. 49

Teodoro.                                             Anzi che tua,
Fia del sepolcro. Imbelle esser Messina
Può alla difesa di sue mura; invitti
Difenderanno i sacerdoti l’are;
Sotto devote fiamme, ultimo scampo,
Le asconderanno.
Eufemio.                                        E in quelle fiamme?... Ah, nota
M’è di Pacomio la ferocia! Il manto
Vescovil gli mertaro i superbi atti
Suoi, quando, uscito di Tebaide, Italia
Corse a turbar, guerra intimando a tutte
Fralezze umane, e roghi ovunque ergendo
A chi alla Croce e a lui non si prostrava.
Il furor suo sacerdotal pavento;
Lodovica è in periglio.... Oh, tosto vanne
Alla città, fido Almanzor: pronuncia
Del tuo soldano il formidabil nome.
Di che, cinta d’immensa oste, l’eccidio
A Messina giurai, se nel mio campo
Tratta non viene di Teodor la figlia:
Di che sovra costui pende il mio brando
Pronto a svenarlo; il brando mio che a niuno
Perdonerà, non all’età canuta,
Non agl’infanti, nè a lor madri! Intera
Seminerò la vasta isola d’ossa
E di ruine, sì che mai più aratro
Non la fecondi, ove negar si ardisca
L’unico don ch’alla mia patria io chiegga!
Almanzor.T’obbedisco, signor.1
Teodoro.2                                             Fermati; aggiungi
Che di morir pago son io; che infame
Patto parríami il serbar vita e regno
Coll’ignominia di mia figlia; aggiungi....
Empio, ei non m’ode.
Eufemio.3                                             Appo le navi in ceppi

  1. S’inchina e s’avvia.
  2. Ad Almanzor.
  3. Ad alcuno de’ suoi.