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atto terzo.—sc. i. 465

sulle loro selvaggie ed aride onde, e non cerca, siccome non è cercato, ma a chi l’incontra è mortale; tale è stato il corso della mia esistenza; ma sul mio cammino s’imbatterono oggetti che ora non son più.

Abate. Oimè! comincio a temere che più non ti giovi alcun ajuto di me nè del mio ministero; eppure, così giovane, io vorrei ancora....

Manfredo. Guardami! v’è un ordine di mortali sulla terra, i quali invecchiano nella loro gioventù, e muoiono prima della mezza età, senza la violenza d’una morte di guerra; alcuni cadendo nel piacere — alcuni nello studio — alcuni distrutti dalla fatica — altri dalla sola noja — altri da malattia — e altri da qualche insania — e altri perchè i loro cuori si sono appassiti od infranti; e quest’ultima malattia uccide più gente che non ne numera il fato, prendendo tutte le forme e portando varii nomi. Guardami! che di tutte queste cose ho partecipato; e di tutte queste cose una sola bastava; nè maravigliarti quindi ch’io sia quel ch’io sono, ma bensì ch’io sia stato, o che essendo stato io sia ancora sulla terra.

Abate. Eppure, ascoltami.

Manfredo. Oh vecchio! io rispetto il tuo ordine e venero i tuoi anni; credo pia la tua intenzione, ma è vana: non riputarmi scortese; vorrei risparmiare un rammarico a te più che a me, evitando ogni ulteriore discorso — e perciò addio. (Esce.)

Abate. Egli sarebbe stato una nobile creatura; ha tutta l’energia che avrebbe formato un buon ente di gloriosi elementi, se fossero stati saviamente mescolati; nel modo attuale è un orribile caos — luce e tenebre — intelletto e polvere — passioni e pensieri puri, misti e contendenti senza fine nè ordine, tutto infruttuoso o distruttivo: egli perirà, eppure nol dovrebbe; proverò ancora una volta: siffatti sono gli uomini degni della redenzione; e il mio dovere è di osar tutto per uno scopo retto. Lo seguirò — prudentemente — ma fermamente.(Esce.)