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462 | manfredo |
Herman. Tutto, signore, è pronto; ecco la chiave e la cassetta.
Manfredo. Bene; puoi ritirarti. (Herman esce.)
Manfredo solo. Vi è una calma entro me — inesplicabile tranquillità! che finora non appartenne mai a ciò ch’io conobbi di vita. Se io non sapessi che questa filosofia è di tutte le vanità la più vana, e la più insignificante parola che mai deludesse orecchio, tra quelle del gergo scolastico, io crederei trovato il secreto d’oro, la cercata pietra filosofale, e lo crederei collocato nell’anima mia. Questo non durerà, ma giova, quantunque una volta sola, d’aver provato questo stato: ha arricchito i miei pensieri d’un nuovo oggetto, e voglio notare ne’ miei ricordi che esiste un tal sentimento. Chi è là?
Rientra Herman. Signore, l’abate di S. Maurizio desidera l’onore di salutarla. (Entra l’abate di S. Maurizio.)
Abate. Sia pace al conte Manfredo!
Manfredo. Grazie, santo padre! benvenuto in queste mu- [...] la tua presenza le onora e benedice coloro che vi abitano.
Abate. Fosse pure, o conte! — Ma vorrei conferire con te solo.
Manfredo. Herman, ritirati. Che desidera il mio reverendo ospite?
Abate. Così, senza preludio: — l’età, lo zelo, il mio ufficio e la buona intenzione scuseranno la mia libertà, come pure la nostra vicinanza d’abitazione, sebbene poco ci conosciamo. Rumori strani e di profana natura sono sparsi, i quali versano sul tuo nome; nobilissimo nome da secoli; possa colui che lo porta, trasmetterlo incontaminato!
Manfredo. Prosiegui, — t’ascolto.
Abate. Si dice che tieni relazioni colle cose che sono proibite alla ricerca degli uomini; che tu comunichi cogli abitatori dei negri soggiorni, coi malvagi spiriti in odio al cielo, che passeggiano nella valle dell’ombra della morte. Io so che di rado cambii i tuoi pensieri col genere umano, coi tuoi compagni nella creazione, e che la tua solitudine è come d’un anacoreta, se non che non è santa.
Manfredo. E chi sono coloro che dicono siffatte cose?
Abate. I miei pii fratelli — gli spaventati contadini — i