Pagina:Tragedie (Pellico).djvu/464


atto secondo.—sc. IV. 459

cambio dell’ignoranza per quello che è un’altra specie d’ignoranza. Ciò non è tutto: — le passioni, attributi della terra e del cielo, da cui nessuna potenza, nessun ente, nessuna vita, dal verme in su, va esente, hanno trapassato il suo cuore, e coi loro effetti reso lui tale, che io, che non sento pietà, perdono a quelli che di esso hanno pietà. Egli appartiene a me, e può essere tuo. — Comunque sia, nessuno spirito in questa regione ha un’anima pari alla sua, nè alcuna potenza sovra l’anima sua.

Nemesi. Che vuol egli qui?

Prima Parca. A ciò risponda egli stesso.

Manfredo. Voi conoscete ciò ch’io ho conosciuto; e senza potenza non potrei essere fra voi: ma vi sono ancor maggiori potenze.— Io vengo a cercarne che rispondano a ciò ch’io desidero.

Nemesi. Che brami?

Manfredo. Tu non puoi rispondermi. Evoca i morti, — la mia questione è per loro.

Nemesi. Grand’Arimane, condiscende la tua volontà ai desiderii di questo mortale?

Arimane. Sì.

Nemesi. Chi vuoi tu degli incorporei?

Manfredo. Uno senza tomba, — evoca Astarte.

Nemesi. Ombra, o spirito! chiunque tu sia, che ancor serbi il tutto o una parte della forma del tuo nascimento, del modello tuo di creta, il quale ritornò alla terra, riapparisci al giorno! Porta ciò che portavi, il cuore e la forma; e l’aspetto che avevi, redimilo dai vermi. Apparisci! — apparisci! — apparisci! Colui che ti mandò là ti richiama qua. (Il fantasma d’Astarte sorge e si ferma nel mezzo.)

Manfredo. Può questa esser la morte? il fiore è su quella guancia; ma ora vedo che non è di colore vivente, ma di persona stranamente consunta, — simile al vermiglio non naturale che l’autunno pone sulla foglia morta. È dessa. O Dio! come poss’io tremare guardando la stessa — Astarte! — No, non posso parlare — mi parlerà essa. — Perdonami, o condannami.

Nemesi. Per la possanza che ha rotto il sepolcro che ti