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Manfredo. Dimenticanza.

Spirito. Di che — di chi — e perchè?

Manfredo. Di ciò ch’è in me; leggetelo qua. — Voi lo sapete, ed io non posso pronunciarlo.

Spirito. Noi non possiamo darti che ciò che possediamo. Chiedi a noi tuoi sudditi sovranità, potere sovra la terra, o tutto o in parte, o un segno che governi gli elementi di cui siamo i dominatori, ciascuna di queste cose e tutte insieme saranno tue.

Manfredo. L’obblio, l’obblio di me stesso.— Non potete strapparlo fuori dai nascosti regni, voi che offrite si prodigamente, ciò che io domando?

Spirito. Non è nella nostra essenza, nella nostra facoltà. Ma — tu puoi morire.

Manfredo. La morte mi procaccerà essa l’obblio?

Spirito. Noi siamo immortali e non dimentichiamo, siamo eterni, e a noi il passato è, come il futuro, presente. Sei soddisfatto?

Manfredo. Voi mi schernite — ma il potere che vi ha portati qua vi fece miei. Schiavi, non deridete la mia volontà! La mente, lo spirito, la prometea favilla, il lampo del mio essere è così splendido, così penetrante, dardeggia così lunge come il vostro, e al vostro non cederà, quantunque rinchiuso nella creta! Rispondete, o v’insegnerò chi sono.

Spirito. Rispondiamo come rispondemmo; ciò che abbiamo a dirti già sta nelle tue parole.

Manfredo. Perchè ciò?

Spirito. Se, come dicesti, la tua essenza è come la nostra, abbiamo risposto in dirti che quel che i mortali chiamano morte, nulla ha che fare con noi.

Manfredo. Dunque invano vi chiamai da’ vostri regni; o non potete o non volete ajutarmi.

Spirito. Parla: noi t’offriamo ciò che possediamo; egli è tuo. Pensavi prima di congedarci, ridomanda — Regno, dominio, forza, lunghezza di giorni.

Manfredo. Maledetti! Che ho io a fare di giorni? Troppo lunghi già sono. — Via di qua — partite!

Spirito. Ancora un istante; poichè siam qui, la nostra