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442 | manfredo |
Manfredo. Dimenticanza.
Spirito. Di che — di chi — e perchè?
Manfredo. Di ciò ch’è in me; leggetelo qua. — Voi lo sapete, ed io non posso pronunciarlo.
Spirito. Noi non possiamo darti che ciò che possediamo. Chiedi a noi tuoi sudditi sovranità, potere sovra la terra, o tutto o in parte, o un segno che governi gli elementi di cui siamo i dominatori, ciascuna di queste cose e tutte insieme saranno tue.
Manfredo. L’obblio, l’obblio di me stesso.— Non potete strapparlo fuori dai nascosti regni, voi che offrite si prodigamente, ciò che io domando?
Spirito. Non è nella nostra essenza, nella nostra facoltà. Ma — tu puoi morire.
Manfredo. La morte mi procaccerà essa l’obblio?
Spirito. Noi siamo immortali e non dimentichiamo, siamo eterni, e a noi il passato è, come il futuro, presente. Sei soddisfatto?
Manfredo. Voi mi schernite — ma il potere che vi ha portati qua vi fece miei. Schiavi, non deridete la mia volontà! La mente, lo spirito, la prometea favilla, il lampo del mio essere è così splendido, così penetrante, dardeggia così lunge come il vostro, e al vostro non cederà, quantunque rinchiuso nella creta! Rispondete, o v’insegnerò chi sono.
Spirito. Rispondiamo come rispondemmo; ciò che abbiamo a dirti già sta nelle tue parole.
Manfredo. Perchè ciò?
Spirito. Se, come dicesti, la tua essenza è come la nostra, abbiamo risposto in dirti che quel che i mortali chiamano morte, nulla ha che fare con noi.
Manfredo. Dunque invano vi chiamai da’ vostri regni; o non potete o non volete ajutarmi.
Spirito. Parla: noi t’offriamo ciò che possediamo; egli è tuo. Pensavi prima di congedarci, ridomanda — Regno, dominio, forza, lunghezza di giorni.
Manfredo. Maledetti! Che ho io a fare di giorni? Troppo lunghi già sono. — Via di qua — partite!
Spirito. Ancora un istante; poichè siam qui, la nostra