Pagina:Tragedie (Pellico).djvu/416


atto terzo. — sc. V. 411

D’esser vil nella storia in me non cape.
Moro.Vil, no, non vi dirà, ma....
Arrigo.                                                       Ti consiglio
Di far senno, e pensar, che qui mutarsi
Non già il tuo re; tu il dèi. Volli rispetto
Del tuo ingegno portare alla grandezza,
A’ tuoi lunghi servigi, alla tua fama,
Pace tra noi possibil desiando.
Oggi a me stesso, al mio regal decoro
Debitor son d’esigerla, o por fine
Con esemplar castigo alla tua audacia.
Vuoi tu?....
Moro.               Ingannarvi, o sir? Nol vorrei mai.
Ingannar me medesimo, e innocenti
Fingermi l’opre d’un regno di sangue?
S’anco il volessi, non potrei.:..
Arrigo.                                                       Tu pensi
In tua arroganza, che il tuo merto basti
Dalla scure a salvarti. Erri.
Anna.                                                       Con ira
Questo colloquio non si sciolga. Il Cielo
Da tal colloquio fa dipender oggi
D’Inghilterra la sorte.
Arrigo.                                             I giuramenti
Che prosta ogni Britanno, e Moro presti.
Moro.Fede al mio re giurai; fede gli tenni.
Arrigo.Obbedïenza del tuo re alle leggi!
Moro.Quando a giustizia, a Dio non son contrarie.
Arrigo.A Dio contrarie leggi io non impongo.
Moro.La libertà del credere è vietata
Con catene e supplizi: ella sia resa,
E più contrarie a Dio non saran leggi.
Arrigo.La libertà che invochi era a mio danno,
A danno della patria astutamente
Da bugiardi cattolici adoprata.
Moro.Adoprata da’ retti era a dar gloria
Alla patria ed al ver: io la riclamo
In nome d’ogni retto.