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atto terzo. — sc. V. 407

Per te nutrii. Rammenta i dì che insieme
Della chiesa britannica gli abusi
Deploravam; che a migliorarla entrambi
Volgevamo il pensier. Questa riforma
Ardito assunsi, e tu m’abbandonasti.
Moro.Sire, io seguito avriavi in tanta impresa,
Se zelator fanatici e bugiardi
Colà sospinta non l’avesser, dove
Scisma divenne e spogliamento e strage.
Riforma vera, innocua, e non contraria
A’ cattolici dogmi io desïava!
Riforma di costumi! onesta guerra
A superstizïoni! insegnamento
Di salda sapienza! — A tal riforma,
E non ad altra, ad aderir son pronto.
Arrigo.D’uom veggente qual sei, d’uomo che lunga
Esperienza ammaestrò, non degna
È la rampogna. I grandi scotimenti,
Mossi uno stato a migliorar, non ponno
Da parziali danni ir mai disgiunti.
Meravigliarne al volgo lascia; al volgo
Impaurirne, e l’avvenir tu mira.
D’Arrigo ottavo al tempestoso regno
Succederà felice calma; ed opra
Di tal regno sarà. Dal roman giogo
Liberata Inghilterra, il suo robusto
Alto intelletto spiegherà con nova
Sorprendente possanza, e lume all’altre
Nazioni farassi, e glorïosi
Secoli avrà di senno e di fortezza.
Tal nobile successo io mi proposi.
Moro.E successo dovea nobil proporsi
Arrigo ottavo. Ma fallito ha il modo.
Tanto in questa feconda isola è spirto
Di gagliardia e di libertà e di senno,
Che di discordie scellerate ad onta,
E di leggi tiranniche e d’eccidii,
Rialzerà forse tra breve, io spero,