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atto secondo. — sc. i, ii. | 395 |
Diveran di Colui che a tutti è padre,
E più agli orfani! ai miseri! alla prole
Di chi a’ malvagi non curvossi, e cadde!
SCENA II.
CROMWELL e detto.
Moro.Cromwello, tu?
Cromwell. Mi manda il re.
Moro. A qual fine?
Cromwell.Quale orrendo squallor! Tommaso Moro
In sì fero castigo! e già da un anno!
Infelice! Tu il vedi: io son commosso....
Da quel di pria quanto diverso sei!
Pallido, smunto....
Moro. Infermo son, ma l’alma
Non infiacchisce per languir di membra.
A che vieni? A scrutar se m’atterrisco,
Considerando il deperir di questo
Misero fral, di liete aure privato?
Cromwell.Moro, avversario tuo sempre m’estimi,
E pungente favelli. Io t’avversai
Quand’eri in alta sede: or ti compiango,
E il tuo ritorno nella regia grazia
A procacciar consacromi: tel giuro.
Moro.A moltiplici giuri uso è Cromwello.
Cromwell.Tue maligne parole il mio disdegno
Meriterian.... Ma tua sventura è tanta,
Ch’emmi impossibil teco più adirarmi.
Salvarti anelo: credimi.
Moro. Sì lunghi
Anni ci conoscemmo, e ripetuto
Da te fur tanto le codarde prove
Di bassa invidia contro a me, e di tema....
Ch’oggi me coscïenza non rimorde,
Se ti giudico infinto. E poichè infinto
A giudicarti astretto son, tel dico.