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atto secondo.— sc. iv, v. 347

Del Re immortal, l’immagin sua, colui
Che gli oracoli annunciano.... Che dico? —
Sì! Vuoi tu secondarmi? anzi alle turbe
Proclamarmi Messia? darmi de’ cuori
E delle menti il regno? A questo prezzo .
Mutarmi posso e cancellar le macchie
Che rampognan gli austeri a mia corona. —
Tu fremi!
Giovanni. Ah! giusto regna alfine, e il velo
Si squarcerà, donde a tua vista ascoso
Sta quel Messia, ch’esser vorresti indarno.


SCENA V.

SEFORA e detti.


Erode.Chi vien? — Chi sei? — Traveggo?
Giovanni.                                                       La regina!
Erode.Sefora!
Sefora.               Io son.
Erode.                          Tu in questa reggia?
Sefora.                                                       Io vengo, —
Qual sia per esser l’accoglienza, — il mio
Dovere a compier. Le paterne tende
Appo cui ricovrai, capir non ponno
Più d’Erode la moglie. Il genitore
Segue ad onta del mio supplice pianto
A rigettar di pace ogni pensiero,
A giurar tua rovina. Ed io la guerra
Sin dal primiero istante avea imprecata;
Io non volea vendette; io queste mura
Avea lasciato per sottrarmi all’ira
D’una rival, non per addur sovr’esse
Nemici ferri. Il padre mio, implacato
Contro a te, fuggo. Moglie tua son io:
Alto dover parlava, io gli obbedii.
Erode.E non pensasti?...
Sefora.                              Che a novelle angosce,