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atto primo.— sc. ii. 335

L’odio!... e forte premeami un tormentoso
Disperato desio di punir tanti
Scherni, e punirli col pugnal.... se il colpo
Non vibrai, se fuggir scelsi piuttosto,
Forse virtù la mia non era? Io sola
Misurar posso qual si fosse! I conscia
De’ patimenti sostenuti, e conscia
Del cor gagliardo che m’ha dato Iddio!
Giovanni.Appunto a’ cor gagliardi impone Iddio
Arduissime prove. Ed a te imposto
Era...
Erodiade.               Morir nell’ignomia?
Giovanni.                                                       Pria
Che viver scellerata.
Erode.                                        Audace, arresta!
Giovanni.All’innocente Sefora qual diritto
Avevi, o donna, d’involar lo sposo? —
Caro egli t’è: — bastante dritto è questo?
Cara è al ladron sua preda: assolve Iddio
Perciò il ladrone? Al traditore è cara
La perfidia, e le stragi all’omicidia:
Stragi e perfidia più non don delitto?
Gagliardo core è in te, lo so. Fallisti:
Abbi la forza che non è nei fiacchi;
Ricalca l’erta via donde cadesti,
L’imo adisso ove sei non ti spaventi,
Non ti spaventi l’alta cima: a vero
Vigoroso voler dato è il trionfo. —
No, non audacia, ira non è la mia!
Non è insulto a infelici alme che erraro!
Non è rigor di farisaico orgoglio!
È ardimento fraterno, è pietà schietta
D’uom che alla vista del fulgor del trono,
Non obblia che sul trono assiso è l’uomo,
Enon gli tace ciò che in petto ei sente!
Signor, — misera donna, — io sento in petto
Che prosperata non sarà la colpa
Sul trono vostro; che funesto il biasimo