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atto quinto.—sc. III, ultima. 321

Guerrieri sulle mura.           Vita e libertà dona al tribuno,
O gli ostaggi sveniam.
Lando.1Pietà! Qual colpa
Verso te commettemmo, onde a tal fato
Con frode trarne? Berengario e Ubaldo
A te scritto avean già.
Enzo.                                             Quai sien gli amici
O i traditori omai non scerno. È questa,
Corrado, la tua fè? Così dischiude
Tuo genero le porte? — Odimi, Auberto.
Speme tornò: di Cesare il decreto
Che di Dertona m’impodesta, sacro
Fe’ il poter mio di Leoniero al guardo.
Ei qui verrà. L’udrete, e se con lui
Di non ceder stringeavi giuramento,
Fia il giuramento da lui sciolto.
Auberto.                                                  Indegna
Calunnia è questa. Leonier.... — Che veggo? —
Ei vien.— Possibil fia? — Ben nella smorta
Faccia e nell’abbattuto portamento
Diverso appar da quel di pria.
Ghielmo.                                                  No, Auberto:
Alti pensieri ei certo volge.


SCENA ULTIMA.

LEONIERO, ELOISA, e tutti gli altri.


Auberto.                                             O antico
Eroe! dov’è il coraggio tuo? Turbato
Perchè così ti riveggiam? L’amplesso
Dimenticasti che ci demmo? Amplesso
D’alta stima era.
Eloisa.                                   O sposo amato, il padre
Salute ne promette.
Arrigo.                                        Ahi Leoniero!
La virtù è questa, con che dianzi meco

  1. Ad Enzo.