Serbar picciole gare, e allo straniero
Di riso oggetto rimanersi eterno.
Gloria alla patria altra io bramava; e patria
Breve zolla non m’era; erami tale
Ogni contrada ch’itala s’appelli,
E sognava nel mio nobil delirio.
Sotto l’imperïale aquila sveva
Ricongiunte vederle, e i dì tornati
In che di cortesia specchio e d’onore
Era a’ popoli Italia.
Leoniero. Error sublime,
Se vero parli, esser potea. Ma errore
Or come il nomi, e a gioventù l’apponi,
E picciolette appaionti le glorie
Degli avi tuoi, del padre tuo? Il qual mai
Non s’avvide che piccolo era affetto
La carità del natío loco, il santo
Zelo a respinger la straniera audacia! —
Angusto è il natío loco? E perchè angusta
È sua magione, uom dè’ spregiarla, e preda
Darla a possente di ladron masnada
Che il merto ha d’esser vasta? Oh! una famiglia
Ben sol pareami il picciol popol mio:
Ma di più vasta patria cittadino,
Pur amando Dertona, io m’estimava;
Ed eran tutte le città che patto
Con noi stringeva. Ed io di lor discordie
Non ridea, no; gemeane, e alcuna volta
Le composi. Ed allora Asti, Vercelli,
Brescia, Milano, il titolo gentile
Davan di cittadino al dertonese.
Enzo, il tuo labbro blasfemò: di patria
Più generoso amor quel che le toglie
Leggi, gloria, possanza, e sotto i piedi
D’un barbaro la pone!
Enzo. Idolatria
Di gioventù la dissi; error. Dappresso
Vidi l’eroe straniero predicante