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306 leoniero da dertona.

Volli, non per offenderlo, coll’armi,
Ma per placarlo indi co’ preghi, e tutta
Di me, d’Arrigo, di Dertona in lui
La salute ripor.»
Leoniero.                              Ver parlería?
Eloisa.Sì, padre. Nella piena ei del dolore
Effondea il cor. Da consiglieri iniqui
Sè travïato appella. — «Io del senato
Ludibrio fui, dic’ei, d’empio senato
Che a sue voglie tiranniche stromento
Mia stolta audacia fea; suoi lacci aborro,
Nè per me sciorli posso.» — «Il puoi, gli dissi;
La libertà dona ad Arrigo, i dritti
Riconosci d’ognuno, al rio senato
Stràppati e a’ suoi delitti, e a sterminarlo
Co’ buoni ti congiungi.»
Leoniero.                                             E che rispose?
Eloisa.Che i vigili occhi del senato un passo
Mover non lasceriangli; che di scampo
S’havvi sentiero, ei nol ravvisa, e d’uopo
Gli è il paterno consiglio.
Leoniero.                                             Oh re del cielo!
Tanto prodigio opralo avresti? — Auberto,
Guidel, tutti stupite. Ahi, tal prodigio
Fè in voi non trova! No; perverso mai
Sì ratta ammenda non compì. Vil arte
Per deludermi è questa.
Eloisa.                                             Auberto, amici,
Deh, il genitor persuadete.... Oh Arrigo....
Perduto egli è! perduto si! — Al dimesso
Parlar succeder fece Enzo improvvise
Furibonde minacce. — A consigliarmi
Il padre venga! (ei sì sclamava), o a lui
Di lunghe orrende stragi debitrice
Dertona andrà; guai, nel mio altero petto.
Se disperazïon vibri sue fiamme!
Non più consigli chiederò: vendette,
Pria ch’Enzo cada, atroci udrà la terra!»—