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atto terzo.—sc. v. 305

Ghielmo.(Conduce a Leoniero due figliolini.)
Leoniero.                                             Ma chi sono
Questi fanciulli? — Io te ravviso: il prode
Ghielmo tu sei.
Ghielmo.                                   Le tue ginocchia i figli
D’Arrigo abbraccian.
Leoniero.                                        D’Eloisa i figli!
Oh, suggel siate d’amicizia eterna
Infra le due rivali schiatte!1


SCENA VI.

ELOISA e detti.


Eloisa.                                                  Oh vista
Ben augurata! In dolce amplesso il padre
E Auberto e i figli miei!
Auberto.                                                  D’Arrigo il fato,
Eloisa, palesami.
Eloisa.                                   Oh potessi
Di vostra pace al giubbilo me tutta
Abbandonar!
Auberto.                         Sul tuo sembiante l’orme
Dello spavento leggo ed alcun raggio
Di speme pur.
Eloisa.                         Sì, uditemi. Più assai
Ch’io sperar non osava, ottenni. A fianco
Dello sposo mi stava entro la torre
Quand’Enzo a sè mi richiamò. Tua fuga
Egli, o padre, mi disse: ed il suo orgoglio
Giacea, come da fulmine fiaccato.
«Misero me! (sciamava) or chi mi strappa
Dal precipizio? Inimistà paterna
Tale abbominio è al nome mio, che a gara
Deserterà le mie bandiere il volgo.
Vanne al padre (soggiunse); a lui palesi
Fà i miei terrori. Digli ch’io assalirlo

  1. Alzando i due fanciulli fra le braccia.