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atto quinto. — sc. v. 261

Ed io t’accolsi come figlia; io sposa
A mio figlio ti diedi; io t’onorai
Per l’amor che a tuo padre un dì mi strinse,
Per la virtù che in te fulger sembrava,
E per le tue sfortune. Empia, mi lascia;
Le cure tuo detesto, il pianto tuo
Maggiormente m’adira.
Gismonda.                                                Ah, il sangue gronda
Dalla tua man. Con questo lin....
Il Conte.                                                                 T'arretra.
Veleno son le bende tue. Squarciato,
Al modo ch’io queste tue bende squarcio,
È ogni vincol fra noi.
Gismonda.                                             Dritt’è. Squarciato
Ogni vincolo sia fra gli altri umani
E questa derelitta. Il fallir mio
Fu tale amore ond’ogni alma non vile
E non perversa inorridisce. Io vile
Amai colui che mi spregiava. Io vile
E perversa ancor l’amo; ed a me stessa
Più che imprecarmi altri non possa, impreco.
Il Conte.Ira e pietà mi desti. Onde il pensiero
In te sorgea del tradimento?
Gismonda.                                                       Ahi lassa!
Chi m’appon tradimenti? Altro delitto
È quello di Gismonda.
Il Conte.                                             E che? Non data
La fatal chiave era da te agli Svevi?
Gismonda.Sì. — Me infelice! Non v’è obbrobrio dunque
Che sovra il capo mio piombar non debba?
Mio Dio, tu vedi lo mie colpe. Ah forse
Come al guardo degli uomini, al tuo guardo
Sì scellerata non son io. Da loro
Non sarò perdonata: e tu, perdona;
Adeguata al martir dammi la forza.
Il Conte.D’iniquità il linguaggio esser può questo?
Gismonda, ascolta, dimmi. Oh ciel! qual lampo
Mi splende agli occhi? Il traditor.... fu Ermano.