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atto quarto. — sc. vii. 255


SCENA VII.


GISMONDA SI FERMA A GUARDARLI.


Desso non è? — Di sala in sala errando
Vo.... perchè?... per vederlo? — Ed or che il vidi?
O forsennata, che ti giova? — Allato
Colei gli sta. Col braccio ei mollemente
La persona le cinge e la sostiene.
Oh inconsolabil gelosia! Oh bisogno
Non so se più di pianto o di delitti,
Di feroci delitti! Al seno mio
Dianzi stringendo quel fanciullo, immensa
Or dolcezza premeami, or fera voglia
Di lacerarlo con mie mani. Un passo,
Un atomo di polve mi divide
Dalla più spaventevol de’ dannati
Scelleratezza. Oh me infelice! Oh amore!—
E sola son sovra la terra: niuno
Che la smarrita mia ragion conforti!
Non una madre e non una sorella
Fra le cui braccia piangere! Sotterra
Tutti i miei cari da gran tempo! E tutti
Trucidati da chi? — Questo è il pensiero
Che rammemorar deggio ad ogni istante!
Trucidati da chi? Dalle masnade
A cui non vergognò d’affratellarsi
Colui che amore un dì giurommi.— Ah, invano
Ciò vo rammemorando: io l’amo, io l’amo!
Io salvarlo vorrei! Perfido Ermano,
No, non sarà tua vittima. — Che penso?
Il tempo incalza. — Chi mi pone in core
Quest’affanno invincibile? Salvarlo,
Salvarlo io vo’.