Pagina:Tragedie (Pellico).djvu/255

250 gismonda da mendrisio

Dall’innocente suo blandir commossa.
Tu non sei quella immite, onde perenne
Meco esser possa nimistà. Tu fremi,
E piangi. Oh, perché piangi? Ah, certo lutta
Nel petto tuo magnanimo l’antico
Odio, e il pensier che questo è d’un proscritto
L’infelice figliuol, nato nell’ira
Dell’offeso avo suo che orribilmente
Maledicea suoi genitori e lui!
E forse i genitori e il pargoletto
Funesta sorte attende ancor. Nemico
Abbiam l’imperadore, abbiam nemico
Lo sposo tuo. Chi ne sottrae dai rischi
Che, se non or, fra pochi dì, all’arrivo
D’esercito maggiore, alti esser ponno?
Gismonda, io t’ho sorpresa: eri....ancor sei
Intenerita.... Ah, se tu il puoi, ne salva.
Gismonda.E come?
Gabriella.               Placa il tuo consorte. In pregio
Appo il regnante il poser sue prodezze.
S’ei perdonasse al fratel suo, s’ei stesso
Intercessore un dì movesse al trono
Accanto al vecchio padre, allor concordi
Le preghiere d’un padre e d’un fratello
L’irato sir commoverían. Ma s’ora,
Ove calmarlo aneli il genitore,
Ode il monarca esser furente Ermano,
Egli ad Erman compiacerà, inchinato
Fia que’furori a secondar. Ahi, veggo
Nell’avvenire un giorno orrendo! il giorno
Ch’oste gagliarda queste torri assalga,
E di dolor muoja il canuto, e truci
Un contro l’altro pugnino i fratelli,
E il men forte soccomba! Ah, si, il men forte
Non di valor, ma d’armi, è il ritornato
Esule, il maledetto, il già segnato
Non solamente de’guerrieri a’brandi,
Ma di qual siasi mercenario sgherro