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222 | gismonda da mendrisio |
Quando gli strazi del cor mio derise,
E ad altra donna posponeami? Oh vile,
S’io tanto oltraggio oblïar mai potessi!
Il Conte.Giustificar del travïato i falli
Nun vo’; di me null’uom più ne fremea:
Di me null’uom più li punì. Ma quando
Il funebre suo vel morte ha disteso
Su qual siasi perverso, il maledirgli
È sacrilega rabbia.
Gismonda. Ai trucidati
Parenti miei non maledisse? al pianto
Della lor figlia non oppose spregio?
Il Conte.Spregio non mai. T’abbandonò ma tristo,
Te con pietà nomava.
Gismonda. E abbandonarmi
Non era spregio? Di pietà insultante
Essere obbietto dovev’io?
Il Conte. Me pure
Abbandonò, me crudelmente afflisse;
Ma il veggo là trafitto.... e accanto a lui
La sciagurata per cui reo si fece....
Ed il suocero iniquo.... e i pargoletti....
E sovra i corpi loro a sepolcrarli
Precipitare una città! — Gran Dio!
Come a tal vista non tremar, nè spenta
Sentirsi ogn’ira? — Ah, padre io son, tu nulla
Ad Ariberto fosti!
SCENA IV.
GISMONDA.
Ad Ariberto
Io nulla fui? — Troppo gli fui! mia vita
Data per esso un tempo avria. Per esso
Lungamente esecrato ho quella destra
Che in loco della sua strinsi, che farmi
In loco della sua dovea felice -