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atto primo.—sc. iv. 103

Di sognate rapine e tradimenti
Engaddi rea, giuravano con empi
Sacrifici vendetta a’ loro Iddii.
M’adirò lor baldanza: al mio furore
Sorse fausta una notte. Orrendo nembo
Tempestava di grandine e di pioggia
E di fulmini i monti. — «Andiam, compagni,
Dissi: ne’ padiglioni il vil s’acquatta.
Sorprendiamlo: con noi scende dal cielo
Iddio nel tuono, e solo i rei percuote.»
Ci avventiam nell’orror della tempesta,
Trucidiamo, inseguiam. — «Non son mortali»
Esclamava il Romano e, ove le lance
Noi raggiungeano, il fulmin lo atterrava.
Si piena strage mai non fu: — di sangue
E fango intrise, l’aquile del Tebro,
Eccole: calpestatele.

(Alcuni guerrieri che portano due o tre aquile romane le gettano a terra, e tutto il popolo le calpesta gridando:)

                                                            Vittoria!
Viva il Dio d’Israel! viva Azaria!1


ATTO SECONDO.

Stanza nel padiglione d’Azaria

SCENA I.


ESTER che ha inteso la voce dello sposo esce dalle stanze vicine, portando nelle braccia un figliuolino di non più di due o tre anni, e viene incontro ad AZARIA che entra.


Azaria. Ester — diletto figlio — alcuni istanti
A voi concessi alfin mi son!
Ester.                                                            Mio sposo!
Azaria.Al festeggiante popol mi sottrassi

  1. Cade il sipario.