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atto primo.—sc. iv. 99

Jefte.Nol veggio forse ancor?
Ester.                                                  Chi?
Jefte.                                                            Fra le palme
Or del torrente egli dispàr.
Ester.                                                       Mendico
Vecchio infelice.
Jefte.E chi fia che tel creda?
Se amante tuo non è colui.... via, il noma....
Esiti?... In me tua fama or sta. Guai s’io
Del violento tuo consorte in seno
Gelosa serpe vibro!
Ester.                                             Oh infami detti!
Potresti?
Jefte.                    Ciò che possa uom, se spregiato
Vede il suo amore, io ben nol so: — soltanto,
So che, mentre sì poca è di tua fama
La cura in te, d’inorridir non hai
Tanto diritto, ov’io d’amor ti parlo.
Ester.Lasciami.
Jefte.                         Ascolta. — Nuocerti non voglio,
Ma gratitudin voglio. Austera vanti
Virtù: sia pur: ma di virtù nemico
Forse son io? Ch’altro ti chiesi io mai
Fuorchè gentile, pura, amistà santa,
Qual le più a Dio devote alme in soave
Nodo innocente avvincer può?
Ester.                                                            Le cure
Di sposa e madre, già tel dissi, loco
Ad altri affetti in me non lascian.... tranne
La riverenza che al ministro io debbo
Dell’ara, e che non mai perder vorrei.
Jefte.Pria ch’Azaria t’amasse, io già ti amava;
Già in cor volgea di farti mia: tuoi crudi
Congiunti mi prevennero: pietade
Non ebber di tua dolce indole umana,
E al più feroce de’ guerrier ti diero.
Ester.E così d’uom, cui tanta amistà fingi,
Parli?