Pagina:Tragedie (Pellico).djvu/101

96 ester d'engaddi.

Ma non al cor, col sacro acciar dall’ara
Avventarsi e trafiggerli? Oh me lassa!
Già sorto è il Sol: temer non deggio?....
Eleazaro.                                                                      O figlia,
Non mi cacciar: pochi momenti ancora
Dammi. Nulla ti dissi.... e i lunghi preghi
Che in mezzo a’ miei martiri io per te sempre
Al ciel porgeva, e il giubilo, allorquando,
Dalla carcer fuggito, io la tua madre,
Dolce peso, dagli omeri posai
Su quel ciglion del monte, e discoprimmo
La città delle tende, ed «Ester nostra,
Dicemmo, alberga in quelle tende!» e a terra
Proni ambedue chiedemmo a Dio ch’un giorno,
A te pur, salutare onda le avite
Colpe cancelli e il ciel ti schiuda!... E ancora
Non dissi della sera, in ch’io disceso
A questa valle, qui rinvenni un servo,
E fra sue braccia era un bambino.... e fatto
Ardito dal desio, «Qual d’Azaria
È il padiglion?» gli domandai. — «Tu il vedi,
Rispose, è il primo; e suo famiglio io sono.» —
«E quel bambin?» — «Del mio signore è il figlio.»
Oh amor di padre! Come io strinsi al seno
Quel pargoletto! Ed io.... Ma a non tradirmi
Fuggir fu forza.
Ester.                                   Oh padre mio!
Eleazaro.                                                                      Più giorni
Qui scesi all’alba; e il tintinnio dell’arpa,
E la tua voce alcuna volta io udiva:
E sedea su quel masso: e lì piangeva;
E doleami, che al Sol (come quel santo
Condottiero) il cammino io non fermassi
Col fervido bramar, sì che più lungo
Fosse il mattino e il tuo canto e mia gioia!
Ma di’, lusinga non fia vana? Insieme
Vivremo ancor? Potrà Azaria?...
Ester.                                                                      Lo spero: