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Francesco Brioschi, Carlo Prinetti, Andrea Maffei, Antonio Stoppani (scelgo qualche nome qua e là), il cameriere Clemente Vismara, il pittore Hayez, il prof. Gaetano Cantoni, il prof. Biondelli, il prof. Schiaparelli, l’abate Ceriani, il prof. Cornalia; e si chiude con l’architetto Mengoni, il prof. A. Verga e il prof. Ascoli. Il sindaco Belinzaghi, la Giunta e il segretario generale firmano in fondo.

Non ci dovrebbe esser poi bisogno di ricordare al Barbiera che, soprattutto per gli ultimi anni del Manzoni, l’autorità da lui addotta, delle Reminiscenze narrato dal Cantù, è meno che scarsissima. Da un pezzo il Cantù non era più ospite gradito in casa Manzoni, e non vi metteva più il piede. E non c’è studioso del Manzoni che non sappia com’egli — preferisco cedere la parola a un giudice non sospetto e critico eminente, Francesco D’Ovidio — si mettesse «a scriver del Manzoni con una disposizione d’animo anche più amara del solito, e pare non abbia avuto altro a cuore che di dare una mentita a quanti sinora avevano pubblicato fatti e pensieri del grand’uomo, e di gettare una luce fosca su tutti gli amici e parenti di lui»1.

Che il Barbiera consideri queste ultime parole, e si rassegni a ritenere anch’egli, senz’alcuna restrizione, assurda ogni voce o sospetto di maltrattamenti.

  1. F. D’Ovidio e L. Sailer, Discussioni Manzoniane; Città di Castello, Lapi, 1886, p. 134.