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Dopo d’aver composto e pubblicato il carme In morte di Carlo Imbonati, e l’altro, più classicamente forbito, Urania, e prima di mettersi intorno agl’Inni sacri, il Manzoni aveva vagheggiato un poemetto, tra virgiliano e pariniano, sull’Innesto del vajuolo. In una lettera all’amico Fauriel del 5 ottobre 1809, si dice fortunato oltre i suoi meriti nella scelta del soggetto. Dal sunto di un’opera che allora allora compariva in pubblico, apprendeva nientemeno che «non solo s’era trovato il germe del vaiuolo nelle vacche in qualche luogo della Lombardia, ma che nella Valle di Scalve, la quale è tra le montagne del Bergamasco, esisteva una tradizione per cui si conducevano le vacche infette nello case di quelli che si volevano preservare dal vaiuolo naturale. Come vedete dunque», egli conchiudeva, «j’ai vaccine, Lombardie, montagnes et tradition». Che poteva desiderar di meglio? Aveva così l’ambiente storico o leggendario della sua Lombardia, e quei monti, quella pianura a perdita d’occhio, quei colli, quei laghi, quei fiumi, quei ruscelli, che descrisse o accennò poi nello sfondo delle sue tragedie e che son tanta parte del romanzo immortale. Non mancava che il poemetto! Qual metro gli sarebbe stato più conveniente? Mise subito da parte il verso sciolto pariniano e montiano, nel quale s’era già con tanta fortuna provato nei due carmi, e preferì l’ottava, «per la paura che una sfilata troppo lunga di versi sciolti non divenisse schiacciante». E della scelta era contento; e oltre al disegno generale del poema, aveva anche composto il principio del primo canto. Si era al 6 marzo 1812: non si può dire che si progre-