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sott’occhi ciò che faceva al desiderio Suo, ossia la prova provata che il Manzoni non mutò, per Nizza o Aspromonte o Mentana, l’opinione ch’egli si era formata sulle benemerenze della persona imperiale verso il regno d’Italia, e sul contegno che questo doveva tenere verso di lui.

Ma ciò che mi ha condotto a un tale richiamo non è stata la voglia di metter bocca nella polemica del monumento, nè, molto meno, la petulanza di volerle ricordare un passo manzoniano non tornatole alla memoria. È stato il piacere provato nel vedere, prima, il gran conto che Ella fa del pensiero politico manzoniano, poi l’aver Ella riconosciuto che ancora lo si è studiato troppo poco; finalmente l’aver Ella con l’esempio incoraggiato gli studiosi a provarcisi. Poichè io credo che quando quel pensiero potrà essere ricomposto, apparirà di importanza somma (benchè, con ogni riverenza, in molte parti io dissenta da esso) nella varietà degli atteggiamenti politici degl’illustri Italiani recenti. Si vedrà, fra le altre cose, che questo letterato, il quale, in tanto imperversare dei letterati nella politica, fu il solo che negasse a se stesso la capacità o quindi il diritto di mescolarsene attivamente, fu forse anche il solo fra loro che di cose politiche s’intendesse per davvero.

E a me, che una volta feci aggrottare le ciglia a molta gente definendo il Manzoni come il genuino discendente cristiano di Nicolò Machiavelli, piace ora di farmi forte anche dell’autorità di Lei, in grazia delle parole che leggo nel citato Suo articolo: «In politica era molto più vicino al Machiavelli di quanto la sua bonarietà, più apparente che reale, e la bonarietà dei critici, più reale che apparente, non lascerebbe supporre».

Mi creda dunque con ossequio, e in qualehe modo anche con gratitudine, dev.mo Filippo Crispolti» — .