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manzoni e napoleone iii 463

pregi o dei difetti del vocabolario milanese del Cherubini; e accennava alle differenze tra gl’idiomi toscani e alla preferenza da accordare al fiorentino. Soggiungeva:

Non so poi se a tutti i Toscani parrà come a me indispensabile ciò che son per aggiungere, cioè che la parte toscana del vocabolario deva essere veduta e approvata da dei Fiorentini. Le lingue (o gl’idiomi, che è tutt’uno) della Toscana sono, credo, poco dissimili tra di loro, ma non sono un solo idioma, che è ciò che si vuole, o almeno che si deve volere. Accettandoli tutti, e volendo prendere da tutti, si riuscirebbe a non saper se si abbia a dire un grappolo o una pigna o una zocca d’uva; e forse i sinonimi di questo solo oggetto non son qui tutti.

Chiudeva, troncando di botto «la troppo lunga e troppo corta tantafera», coi consueti saluti. Sennonchè, in un foglietto a parte, diceva all’orecchio del genero carissimo e degnissimo:

Supponendo che l’unita lettera possa esser veduta da altri, ho lasciato nella penna una ragione del mio non potere attendere al lavoro proposto; ed è l’essere io tutto tuffato in un altro che non potrei abbandonare [quasi certamente il saggio sulla Rivoluzione Francese]. La giovane è bella, ma avrebbe a essere un divorzio.

Mi sono anche ben guardato d’addurre un motivo, che mi leverebbe una gran parte di coraggio, quand’anche fossi giovane e scapolo: ed è la gran probabilità che la capitale sia per essere altrove che a Firenze. Prima d’ora, se questa non era riconosciuta unanimemente e costantemente per la sede della lingua, non c’era però nessuna altra città che, in questo, le potesse contendere il dominio; e chi avesse riconosciuto che la lingua s’ha a prendere da una città, era costretto a nominare Firenze. Ma una capitale ha, per la natura delle cose, una grande influenza sulla lingua della nazione. Sarebbe, credo, un caso unico che il capo della nazione fosse in un luogo e la sua lingua in un altro. Fino il piemontese, e in così poco tempo, s’è infiltrato un pochino negli scritti e nei discorsi. E almeno sarà creato un conflitto.

Non hanno conosciuto, e non ancora conoscono questa lettera (che il D’Ancona pubblicò per le nozze di Nino Tamassìa, nel giugno del 96, quei critici che han creduto, o credono, di far carico al Manzoni del non aver previste lo necessario conseguenze, avverse al desiderato predominio dell’uso linguistico fiorentino, del trasporto della capitale politica altrove che a Firenze.

Il vigile vegliardo tornò ancora alla capitale subalpina nel dicembre 1864. Massimo d’Azeglio non aveva tralasciato nessun mezzo per impedire all’illustre suocero d’interve-