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manzoni e napoleone iii 451


Fra i tanti aneddoti propalati sul grande lombardo, vi fu anche questo, che egli, il veglio venerando «vergin di servo encomio», nel giorno della patriottica ebbrezza, sollecitasse l’onore di baciar la mano dell’imperatore. È forse una storiella1; un tal baciamano politico sente poco di stile manzoniano. Come sarebbe mille miglia lontana dallo spirito manzoniano la supposizione che l’austero poeta si astenesse da quello e da qualunque altro atto di omaggio e di gratitudine, per repugnanza che gli facesso l’uomo del 2 dicembre.

Non mancherebbe altro che di considerare il Manzoni come nu dottrinario, il quale avesse il pregiudizio della così detta pregiudiziale! Il vero è che il pensiero suo su quell’avvenimento non differiva punto nè da quello di Cavour, il quale, in un discorso del ’55, affermò che «pel fatto del 2 dicembre l’ordine non corse più nessun pericolo in Francia»; nè dall’altro, per esempio, del Gioberti, nella Risposta a Urbano Rattazzi.

«La rivoluzione di dicembre fu utile», questi scrisse, «come impedimento di maggiori disordini; utile, come pena correttiva delle varie fazioni. Punì i vecchi conservatori, che per egoismo e studio di parte sciuparono tre anni di tempo prezioso a lacerar lo statuto, manomettere la plebe, impedire la repubblica di assolidarsi per rinnovare una monarchia degenere: e che se avessero vinto, si sarebbero sottosopra portati come il loro vincitore, onde non hanno diritto di lagnarsene. Punì i socialisti intemperanti, che avrebbero a poco andare risuscitata l’antica barbarie e infeudate per lungo tempo al cosacco le più gentili provincie d’Occidente. Punì i democratici, che anche portandosi giudiziosamente nelle cose patrie, non mostrarono in quelle di fuori lo stesso accorgimento: aspirando a rifare gli errori del secolo scorso, a offendere la spontaneità dei popoli, a esercitare una egemonia dittatoria e repubblicana su tutta Europa».

Il sentimento del Manzoni, in politica come in arte, era

    giugno), 183; a Solferino (24 giugno), 1521. In tutto, 2548; i cui nomi, incisi su centodieci lastre, sì leggeranno tutti, a Dio piacendo, o sulla base del monumento o su un apposito obelisco.

  1. Cfr. D’Ovidio, Nuovi studii manzoniani; Milano, Hocpli, 1908, p. 301.