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    toria Manzoni, della sua andata e dell’arrivo a Torino in compagnia del grande vegliardo. Essa è, oltre che bellissima, un documento interessantissimo, il quale riconforma, con un’autorità che non si potrebbe desiderare più solenne, quanto abbiamo minuto fin qui. Eccola, nella parto che meglio ci riguarda. Ha la data di «Torino, 5 decembre 1864». (Cfr. D’Ancona, Aneddoto Manzoniano, negli Studj in onore di F. Torraca, Napoli, Perrella, 1912; e ora nelle Pagine sparse di letteratura e storia, Firenze, Sansoni, 1911, p. 259 ss.).

         «Siamo arrivati a Torino in questo momento (1,30), e ho accompagnato Pappà in casa Arconati. Mi trovo qui nel suo salottino, dove mi ha pregato di aspettarlo mentre è in camera a fare la sua toilette. — Nella previsione che la cosa andrà assai per le lunghe, mi metto a scriverti, e mi affretto a dirti che Pappà ha fatto ottimo viaggio ed è di ottimo umore.
         «Gli Arconati, conio sai, lo avevano insistentemente invitato a scendere da loro, qualora egli fosse venuto per davvero a Torino: benchè avessero sperato fino all’ultimo che questo caso non si sarebbe verificato, lo hanno accolto colla solita affettuosa premura. — Per parte mia ho avuta l’impressione che abbiano ricevuto me con una certa freddezza, come se fosse stato in mio potere, anche volendo, di dissuadere Pappà dal venir qui a dare il suo voto! Scesi ieri a Milano, carico di esortazioni e di raccomandazioni di Massimo, di Geppino, di donna Costanza [Giuseppe e Costanza Arconati] ecc. ecc., diretto ad impedire la sua venuta qui: arrivato a casa, trovai altre difficoltà fatte da Pietro [Manzoni], spalleggiato dal medico, che non trovavano prudente di lasciarlo viaggiare con questo freddo; mi provai dunque anch’io a farlo riflettere di nuovo prima di mettersi in treno; ma lui non ci sentiva da quell’orecchio, si ritirò più presto del solito, e quando mi fui ritirato anch’io, Clemente [il fido vecchio servitore] venne a dirmi che Pappà mi voleva parlare. — Andai in camera sua, e lo trovai che non si era ancora coricato; mi disse che desiderava partire stamani di buon’ora, per tagliar corto a tanti discorsi che lo avevano già abbastanza seccato... Prendemmo con Clemente, che ci ha seguiti, i concerti del caso, ed eccoci qui!
         «Se Geppino è stato un po’ freddo meco, mi aspetto addirittura una spostata [uno sgarbo] da Massimo, o dei solenni musi da questi bravi Torinesi. — Non mi sorprenderebbe neppure che dessero segno del loro malumore anche a Pappà stesso, eccezion fatta forse del solo marchese Alfieri, che considera il trasferimento della capitale come una necessitià, qual è, e lo accoglie con animo sereno. Ma figurati che Sclopis arrivò a dire l’altro giorno che — se Manzoui commettesse la gravissima mancanza di vonire a Torino, la responsabilità sarebbe di Giorgini. — Si vede proprio che questi signori conoscono poco Pappà, che ne hanno un concetto molto inferiore a quello che merita, e che per conseguenza si esagerano grandemente il potere della mia influenza su di lui. Dovrebbero sapere che egli è ben chiaro e ben fermo nello sue idee e nei suoi propositi, e che poche idee ha più chiare e più ferme di quella di volere che si vada a Roma. Per lui è evidente che l’andare adesso a Firenze significa incamminarsi sulla via di Roma, e non saremmo certo capaci nè io, nè Massimo, nè donna Costanza, nè altri, di fargli cambiar rotta: ha in testa più fitto che mai il chiodo di Roma, ed è sempre pieno di fiducia che a Roma ci potremo andare col pieno consenso della coscienza cattolica. Non spera nulla da Pio IX, ma spera molto dal Pa-