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Dopo la rotta di Novara, il poeta che, uscendo dall’abituale riserbo, aveva così vivacemente inneggiato alle «giornate del nostro riscatto», e i cui tre figliuoli avevan combattuto per le vie di Milano, e il terzogenito, Filippo, era caduto nelle mani di Radetzky ed era stato tradotto in Castello e poi inviato a Kufstein e a Vienna, e liberato più tardi nello scambio degli ostaggi; il poeta s’era ritratto in volontario esilio in una villa sulla riva piemontese del Lago Maggiore, a Lesa. Unico, ma ineffabile suo conforto in quell’amena solitudine, i colloqui vespertini con Antonio Rosmini.

Eran tanto frequenti, eppure ogni arrivo del Manzoni a Stresa era un avvenimento solenne. Ce lo descrive un testimone fortunato e assai bene accetto, Ruggiero Bonghi. Attratto e distratto da «quella scena di paradiso che si distende quasi a circolo in faccia a Stresa», il giovane e ardente esule napoletano è richiamato alla realtà dal rumore di una carrozza che veniva dalla parte di Lesa.

Appena — egli narra — che i cavalli ebbero fritto capolino oltre il canto della chiesa parrocchiale, m’accorsi che gli eran quelli del Manzoni. Ora, sapete che vuol dire la carrozza del Manzoni che mostri di volersi fermare avanti al cancello di casa Rosmini? Uno scender giù a precipizio di chi l’ha vista per il primo, un picchiare all’uscio del Rosmini, un dirgli che il Manzoni è lì, e un continuare giù per le scale, senza aspettare altro, e poi un venir fuori sulla loggia e giù da capo por quei sei o sette scalini che mettono al cancello, di maniera che ci sia il tempo, primo, di spiegare il predellino a don Alessandro o di dargli la mano mentre cala e, secondo, o stringersela e accompagnarlo, o fargli un inchino rispettoso e correre avanti a spalancargli l’uscio a vetri della loggia. Qui s’incontra il Rosmini che è già sceso anche lui; e chiunque voi siate, il Manzoni si scorda di voi e gli si getta nelle braccia, o cominciando con un caro il mio Rosmini, continua con dimandargli se sta bene come l’ultima volta che l’ha visto, e solo dopo consumato tutto, direi, il primo servito della conversazione, si ricorda da capo che s’è in tre e che bisogna parlare in tre.

A quei colloqui stresiani — che il Bonghi gelosamente raccolse e trascrisse in quattro suoi Dialoghi d’ispirazione platonica, che al Negri parvero delle cose più belle del fecondissimo e maraviglioso scrittore1, — soleva assistere an-


  1. Gaetano Negri, Di alcuni Dialoghi Rosminiani in un manoscritto inedito di Ruggero Bonghi; nei Rendiconti del R. Istituto Lombardo, 1896, vol. XXIX.