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manzoni e cavour | 415 |
Il conte di Cavour volle dire le ragioni della preferenza da lui data al titolo di Re d’Italia sull’altro, da altri proposto, di Re degl’Italiani. Questa volta il cuore riprendeva i suoi diritti; e le sue parole svelarono il vulcano che ardeva sotto la crosta ghiacciata. «Il titolo di Re d’Italia», egli disse — e ascoltava il poeta che a quei concetti aveva ispirata costantemente l’opera sua — , «il titolo di Re d’Italia è la consacrazione di un fatto immenso: è la consacrazione del fatto della costituzione dell’Italia; è la trasformazione di questa contrada, la cui esistenza come corpo politico era insolentemente negata, e lo era, conviene pur dirlo, da quasi tutti gli uomini politici dell’Europa; la trasformazione di questo corpo, potrei dire disprezzato, non curato, in Regno d’Italia. È questa idea della formazione di questo Regno, della costituzione di questo popolo; è questa idea, che viene maravigliosamente espressa, affermata, colla proclamazione di Vittorio Emanuele II a Re d’Italia»1.
Quando la votazione ebbe termine e l’adunanza fu sciolta, il Ministro s’avvicinò al Poeta per stringergli la mano, ed offrirgli il suo braccio. Uscirono così insieme dall’aula. Il popolo, che s’accalcava su per lo scalone e nella piazza, proruppe in un’ovazione frenetica, interminabile. «Questi applausi sono per Lei», disse Cavour sorridendo al Manzoni. Il quale, liberando subito il suo braccio, e piantandosi di fronte a Cavour, si mise a battere egli pure vigorosamente le mani. La folla, che se n’accorse, raddoppiò le grida e i suoni; e il Manzoni, trionfante: «Vede, signor conte», disse, «per chi sono gli applausi?».
Non s’incontravano allora per la prima volta, il Manzoni e il Cavour. Si erano anzi visti e conosciuti ben per tempo, nel 1850, a Stresa, in casa di un uomo ch’era degnissimo amico di entrambi.
- ↑ Massari, p. 401-05.