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Manzoni e Cavour 411


Cavour1 — , egli aveva bisoguo di mostrarsi ogni tanto burbero e di tenerci il broncio; ma il nostro statista sapeva bene in qual conto bisognasse tenore quei rimbrotti! «L’imperatore fa tuonare i suoi giornali contro di noi», scriveva egli al Farini il 13 ottobre 1860; «ritengo che i suoi cannoni sieno solo carichi a polvere: il principe Napoleone [Gerolamo] ci applaude e ci anima a tirar de lungo».

Napoleone avrebbe voluto che Cavour assumesse una specie di dittatura, e facesse a meno del Parlamento2; ma Cavour persisteva a credere che «si possano fare con un Parlamento molte più cose, che sarebbero impossibili a un potere assoluto. Io», soggiungeva, «non mi sono mai sentito così debole che quando le Camere erano chiuse. D’altra parte, io non potrei tradire la mia origine, rinnegare i principii di tutta la mia vita. Io soli figlio della libertà, e ad essa io debbo tutto quel che sono. Se occorresse mettere un velo sulla sua statua, non toccherebbe a me di farlo»3. S’intende che il Parlamento era chiamato a intervenire nel momento buono; e certe questioni d’indole delicata non gli erano presentate se non già mature per la soluzione. La tribuna parlamentare giovava a lui per mostrarsi prudente o imprudente secondo che convenisse meglio. Egli sapeva che le sue parole erano ascoltate molto più là del palazzo Madama e del palazzo Carignano; e ne calcolava matematicamente la portata e gli effetti. Nessuno più valente di lui nella balistica oratoria. Aveva fuse in sè armonicamente due qualità che di solito sono avverse e in contrasto: una mente terribilmente fredda, ai servigi d’un cuore maravigliosamente fervido. E ne aveva coscienza. All’annunzio, nel marzo 1848, che i Milanesi avevan costretti gli Austriaci a ritirarsi nel

  1. Lettera al Cialdini, che si trovava a Gaeta, da Torino, 4 gennaio 1861. Chiala. VI. 665.
  2. Lettera del Vimercati al Castelli, Parigi, 29 marzo 1861 (Chiala, VI, 693): «L’Imperatore persiste a credere che è un errore del Conte quello di unificare l’Italia col mezzo del Parlamento; questa unificazione, a parer suo, non è possibile che col mezzo di un potere forte e quasi assoluto nelle mani di Cavour».
  3. Chiala, IV, 25. Lettera alla Contessa De Circourt, ottobre 1860.