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urania 389

     20Tacquero, è ver, ma l’infelice amica
     Mai non lasciar; chè ad alte cose al fine
     L’itala Poesia, bella, aspettata,
     Mirabil virgo, da le turpi emerse
     Unniche nozze. E tu le bende e il manto
     25Primo le desti, e ad illibate fonti
     La conducesti; e ne le danze sacre
     Tu le insegnasti ad emular la madre,
     Tu de l’ira maestro e del sorriso,
     Divo Alighier, le fosti. In lunga notte
     30Giaceva il mondo, e tu splendevi solo,
     Tu nostro: e tale, allor che il guardo primo
     Su la vedova terra il sole invia,
     Nol sa la valle ancora e la cortese
     Vital pioggia di luce ancor non beve,
     35E già dorata il monte erge la cima.
     A queste alme d’Italia abitatrici
     Di lodi un serto in pria non colte or tesso;
     Chè vil fra ’l volgo odo vagar parola
     Che le Dive sorelle osa insultando
     40Interrogar che valga a l’infelice
     Mortal del canto il dono. Onde una brama
     In cor mi sorge di cantar gli antichi
     Beneficj che prodighe a l’ingrato
     Recar le Muse. Urania al suo diletto
     45Pindaro li cantò. Perchè di tanto
     Degnò la Dea l’alto poeta e come,
     Dirò da prima; indi i celesti accenti
     Ricorderò, se amica ella m’ispira.

Fama è che a lui ne la vocal tenzone
     50Rapisse il lauro la minor Corinna
     Misero! e non sapea di quanto dio
     L’ira il premea; chè a la famosa Delfo
     Venendo, i poggi d’Elicona e il fonte
     Del bel Permesso ei salutando ascese;
     55Ma d’Orcomene, ove le Grazie han culto,
     Il cammin sacro omise. Il dèvio passo