Ben so che d’altro vanto aver corona
Pretende il re de’ fiumi; e presso al Mincio,
Del primo onor geloso, ancor s’ascolta
Sonar l’onda sdegnosa armi ed amori; 45E so ch’egli n’andò poi de la molle
Guarìnia corda, or de la tua, superbo.
Ma non vedi con l’irta alga natia
Splendermi il lauro in su la fronte? Salve,
Vocal colle Eupilino; a te mai sempre 50Rida Bacco vermiglio e Cerer bionda:
Salve onor di mia riva! A te sovente
Scendean Febo e le Muse eliconiadi,
Scordato il rezzo de l’Ascrea fontana.
Quivi sovente il buon Cantor vid’io 55Venir trattando con la man secura
Il plettro di Venosa e il suo flagello;
O traendo l’inerte fianco a stento,
Invocar la salute e la ritrosa
Erato bella, che di lui temea 60L’irato ciglio e il satiresco ghigno;
Ma alfin seguialo, e su le tempia antiche
Fea di sua mano rinverdire il mirto.
Qui spesso udillo rammentar piangendo,
Come si fa di cosa amata e tolta, 65Il dolce tempo de la prima etade;
O de’ potenti maledir l’orgoglio,
Come il Genio natio movealo al canto,
E l’indomata gioventù de l’alma.
Or tace il plettro arguto, e ne’ miei boschi 70È silenzio ed orror. Te dunque invito,
Canoro spirto, a risvegliar col canto
Novo romor cirrèo. A te concesse
Euterpe il cinto, ove gli eletti sensi
E le immagini e l’estro e il furor sacro 75E l’estasi soavi e l’auree voci
Già di sua man rinchiuse. A te venturo
Fiorisce il dorso brianteo; le poma