De l’Eridano sponde, a questi ameni 5Cheti recessi e a tacit’ombra invito.
Non feroci portenti o scogli immani,
Nè pompa io vanto d’infinito flutto
O di abitati pin; nè imperïoso
Innalzo il corno, a le città soggette 10Signoreggiando le torrite fronti;
Ma verdi colli e biancheggianti ville,
E lieti colti in mio cammin vagheggio,
E tenaci boscaglie a cui commisi,
Contro i villani d’aquilone insulti, 15Servar la pace del mio picciol regno
e con Febo alternar l’ombre salubri.
Nè al piangente colono è mio diletto
Rapir l’ostello e i lavorati campi,
Ad arricchir l’opposta avida sponda, 20Novo censo al vicin; nè udir le preci
Inesaudite e gl’imprecanti voti
De le madri, che seguono da lunge,
Con l’umid’occhio e con le strida il caro
Pan destinato a la fame de’ figli, 25E la sacra dimora e il dolce letto.
Sol talor godo con l’innocua mano
Piegar l’erbe cedenti, e da le rive
Sveller fioretti, per ornarmi il seno
E le trecce stillanti. Nè gelosa 30Tolgo a gli occhi profani il mio soggiorno,
Ma dai tersi cristalli altrui rivelo
La monda arena. Anzi sovente, scesi
Dai monti Orobj, i Satiri securi
Tempran nel fresco mio la sìria fiamma, 35Col piè caprino intorbidando l’onda.
Ben al par d’Aretusa e d’Acheloo,
Vanta natal divin e sede arcana,
Sacra ai congressi de le aonie suore;
Pur soave ed umìl vassi Ippocrene 40Su la libètride erba mormorando.