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state del 1803, «è incaricato di scrivere lo gesta dei più illustri Capitani italiani», per cui «ottiene dal Ministro della Guerra la tenue ricompensa di lire 90 mensili»; e il 28 agosto, il generale di brigata Bonfanti «lo raccomanda al suo successore, non meno che al Ministro della Guerra, come giovine studioso, di ottimo carattere, bramoso di occupazione, ed infelice», Nel 1805 fu chiamato a insegnare la Storia e la Geografia nella r. Scuola Militare, recentemente creata a Pavia, trasformando il Collegio Ghislieri. Napoleone ordinava che s’infranciosasse ogni nostra istiuzione. «Il faut avoir soin», prescriveva da Fontainebleau ai rettori della Scuola, «de faire une liste d’un millier de livres français: tout ce que peut franciser les élèves». Ma il Lomonaco, se molto ammirava l’avventuriero còrso, ammirava moltissimo il misogallo Alfieri. «Fra l’immensa schiera degli esseri a figura umana nei quali mi sono imbattuto», lasciò scritto (Opere di F. L., Lugano, 1831-37, v. IV, p. 152-3), «non ne ho ravvisato che due veramente originali: l’uno è Napoleone, l’altro l’Alfieri, entrambi degni di essere appellati uomini nell’età in cui mi vivo». E a buon conto, nel Discorso inaugurale del suo insegnamento, rievocò l’immagine e gli scritti di Machiavelli, Bruno, Campanella, Gravina, Vico: tutto ciò che di meno francese e di più schiettamente italiano aveva potuto! Naturalmente fu subito ammonito di conformarsi alle «istruzioni superiori». Il poveromo dovette affrettarsi a pregare il Ministro «di riposare su la sincerità de’ suoi sentimenti», e a protestare: «Se mancherò di forze nella luminosa carriera che l’alta munificenza del Governo mi ha aperta, non mancherò certamente di zelo». Difatto era diligentissimo, e dava lezione tutti i giorni; quantunque assai scarsamente retribuito. Fra insidiato da colleghi malevoli; e le inimicizie nascoste esplosero in una vera persecuzione quando, nel 1809, egli ebbe la cattiva idea di pubblicare a Milano i suoi Discorsi letterarj e filosofici. Il Segretario generale della P. I., ch’egli credeva amico e da cui implorava protezione, richiamò su di essi l’attenzione e i fulmini del Consigliere Segretario di Stato. «Quest’opera», asseriva (13 maggio 1809), «è sparsa di proposizioni, quando contrarie ai principj del Governo e della politica, non senza frequenti allusioni ingiuriose e maligne, tutte a fomentare principj sediziosi, quando imprudenti e false, quando sudicie e ributtanti, e cariche di lascivia e di laidezza intollerabile». L’effetto fu che l’edizione fu sequestrata; e invano l’indebitato autore ricorse al Ministro dell’Interno, ricordandogli tra l’altro «che la Bibbia Sacra ha servito di spada agli eretici per combattere ed atterrare le celesti verità», e che l’Augustissimo Monarca aveva proclamato che «la libertà di stampa è la miglior conquista che il secolo presente abbia fatta su’ secoli trapassati». Povero illuso! Scriveva così il 17 maggio 1809; e nel pomeriggio del 1º settembre si buttava nel Navigliaccio di Pavia, dond’era estratto cadavere. Di questa sua decisione aveva dato notizia al fratello lontano, scrivendogli: «Dopo l’epoca della stampa del mio ultimo libro, io sono stato bersaglio della maldicenza, delle delazioni le più infami e della calunnia. I miei fieri implacabili nemici, non contenti di tutto ciò, muovono ora tutte le