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vi prefazione

novelle, non mancheranno mai. Poi, come allo stesso uomo colto del secolo presente le creazioni bizzarre dell’Ariosto e del Cervantes recano tutt’altro che disgusto, il fantastico e il meraviglioso saranno sempre il desiderio del volgo delle campagne: di quella gran parte del nostro popolo, a cui un modesto elevamento del grado di coltura non toglierà mai affatto dall’animo l’istintivo bisogno di allietare col miraggio della fantasia la realtà seria e monotona della vita. Infine, se il La Fontaine diceva: Si Peau-d’Ane m’était conté, j’en aurais un plaisir extrême, ciò è perchè all’oriente beato della vita, alla fanciullezza, anche il pensiero adulto è sempre lieto di rivolgersi; come l’istinto popolare a quell’oriente storico da cui sursero prima le fantasie che tuttora lo dilettano.

Comunque di ciò sia, principale mio scopo è di offrire un altro contributo agli studi di dialettologia patria. Si crederà che non era facilissima impresa; ed io penso di essere riuscito solo per approssimazione. Quando non si porta sulla lingua la parlata che si trascrive, molte sfumature delle varietà sottodialettali possono sfuggire, se il narratore si allontana (e si allontana sovente) dalle particolarità fonetiche del suo idioma, e chi trascrive non è cauto a fare dei riscontri1. Inoltre, si sa, quanto più il narratore è idiota, tanto meno riesce a persuadersi come



  1. Ciò senza dire della ricca varietà delle forme, viva e corrente nella stessa parlata. Per es: (Levare), Levò = Levá, Luuá; Levètte, Luuètte; Levì, Luuì: (Restare), Restiamo = Restáme, restéme, restàime, ecc. Ad ogni mood, la lingua di queste Novelle si può ritenere come appartenente allo strato idiomatico più volgare.